Dalla sottoscrizione della polizza alla gestione del sinistro, quali di queste due modalità è quella che si adatta meglio al mercato? Se ne è discusso nel corso di una tavola rotonda che ha messo a confronto le esperienze di broker e compagnie, da cui è emerso come questa scelta non possa essere univoca: tutto dipende dalla propria struttura, dalla clientela a cui ci si rivolge, e dalla capacità di offerta delle compagnie.

Broker è una parola che, parlando di assicurazione, può essere usata per indicare una multinazionale così come una piccola realtà di provincia. E se si ci si vuole addentrare in una definizione più specifica il primo step è, tendenzialmente, quello di fare una distinzione tra specialisti e generalisti. È una suddivisione che oggi ha ancora un senso? E quali sono i fattori di mercato che condizionano il broker a optare per l’una o l’altra caratteristica? Da questi presupposti ha preso il via una tavola rotonda che ha messo a confronto broker e compagnie: Luigi Viganotti, presidente di Acb, Michele Cossa, membro del consiglio direttivo di Aiba, Stefano Sardara, presidente e amministratore delegato di Acrisure Italia, e Angela Rebecchi, general manager di Qbe – Rappresentanza generale per l’Italia. 

DOPPIA ANIMA, L’OPZIONE VINCENTE

Secondo Viganotti, scegliere se essere generalisti o specialisti dipende dalla tipologia di rischi che bisogna affrontare: “se dobbiamo andare a valutare i rischi di una famiglia – ha spiegato – un intermediario generalista è adatto. Ma se invece andiamo ad approcciare dei rischi corporate molto specifici, allora occorre essere degli specialisti”. Tuttavia, più in generale, Viganotti ha osservato che “anche l’intermediario che ha una vocazione più da generalista deve avvalersi di specialisti se vuole stare sul mercato, e se vuole offrire la copertura più adeguata al cliente che si ha davanti”. Del resto questo è l’approccio su cui ha spinto la normativa Idd quando parla di consulenza. “È un’attività che ha un significato specifico. La consulenza – ha detto il presidente di Acb – ha sfaccettature diverse. Significa profilare il cliente e il rischio avendo una conoscenza adeguata”.

Su questa posizione ha concordato anche Michele Cossa. “Prima di andare ad affrontare scenari specifici – ha affermato – c’è chi decide di essere generalista per comprendere il mercato a livello complessivo”. Il vantaggio della specializzazione, ha aggiunto, “è evidente, ed è quello di conoscere meglio non solo uno specifico ramo o una nicchia di mercato, ma anche uno specifico territorio. Ricordiamoci – ha osservato – che l’Italia è un paese in cui il rapporto umano conta parecchio”. In questo senso, secondo Cossa, la specializzazione consente al broker di parlare la stessa lingua dei clienti, e quindi di entrare in empatia.

“La specializzazione è importante perché viviamo in un mondo complesso, ma noi in fin dei conti dobbiamo creare valore per il cliente, pertanto serve anche un background generalista. La doppia anima, quindi, è sicuramente l’opzione vincente”.

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FONTE INSURANCE REVIEW